P2
 

PIANTO.
Quando un bambino piange i genitori, la madre in particolare, si pongono sempre alcune domande, legate a paura, ansia, insicurezza: “avrà mangiato a sufficienza ?”; se allattato al seno “sarà sufficiente il latte materno?”; “starà male?” e si potrebbe continuare. Quando poi anche gli stessi genitori capiscono che il bambino ha mangiato a sufficienza e sembra che stia bene, sono combattuti fra l’istinto di prenderlo in collo e il timore di viziarlo, cioè di dargli cattive abitudini. In tutto questo vortice di domande, si rischia di non capire di cosa abbia bisogno il bambino, e i genitori possono entrare in uno stato di agitazione che possono trasmettere al proprio figlio, che, avvertendo l’ambiente teso che ha intorno, può piangere di più.
Il primo errore che i genitori fanno a proposito del pianto di un lattante che ha meno di sei mesi è che gli attribuiscono lo stesso significato come quello di un bambino più grande, per esempio di tre o quattro anni, quando è espressione di dolore, sofferenza e emozioni. Invece nel bambino, durante il primo anno, ma soprattutto nei primi sei mesi di vita, il pianto equivale al linguaggio ed è perciò un modo di comunicare e dialogare con l’ambiente esterno, soprattutto con i genitori e, in particolare la madre. Per capire pensiamo a un cane o a un gatto, che quando vogliono chiedere qualcosa ai padroni.  per esempio, se hanno fame, vogliono uscire, o che gli sia aperta una porta, si mettono a abbaiare o ad miagolare. Per i bambini piccoli il pianto ha lo stesso significato: è il loro linguaggio; l’unico problema è che assomiglia a quello dei più grandi quando stanno male e da qui nasce l’equivoco, però basta porre un po’ di attenzione per poter tradurre il pianto.

Importantissimo da ricordare sempre

Pianto 0-6 mesi
Il resto seguente è fondamentale e consigliamo ogni genitore di stamparlo e incollarlo nei punti centrali della casa, perché si tratta delle informazioni essenziali per poter interpretare il pianto del bambino e sapere cosa fare.
La traduzione di un singolo episodio di pianto
In questo caso è l’orologio che ci permette di capire cosa voglia dire il bambino; se piange
l   durante la poppata, si stacca dal seno o rifiuta il biberon significa che c’è qualcosa che non va nel latte. se è allattato al seno, può darsi che il latte sia insufficiente o non vada bene la posizione, perciò consulta il box n. 2, se è allattato al biberon, controlla che il latte non sia troppo caldo o troppo freddo. In ogni caso, non insistere col volerlo fare mangiare per forza, ma coccolalo
l   nei cinque minuti successivi al termine della poppata, va preso in collo e coccolato: può darsi che il bambino debba fare il ruttino, oppure che il latte sia stato insufficiente: prova a riattaccarlo al seno, mentre è più facile la risposta se ha preso il biberon: se lo ha finito completamente, può darsi che abbia ancora fame e preparaglielo nuovamente. In ogni caso fai una verifica, consultando il box n. 2
l   se sono passati più di sei minuti e meno di un’ora dal termine della poppata precedente, cioè il bambino, dopo aver smesso di mangiare, è stato calmo per alcuni minuti, poi ha iniziato a piangere, è difficile che si tratti di un problema legato all’alimentazione, infatti, se avesse mangiato poco, avrebbe dovuto iniziare a piangere durante o al termine della poppata. L’ipotesi più probabile è che dica “ mi sento solo”, “voglio essere preso in braccio”. Il primo intervento da fare è di prenderlo in braccio, cullarlo, facendo delle oscillazioni di circa dieci centimetri di ampiezza e una ritmicità di una al secondo. Gli si dovrà dare il succhiotto, parlare dolcemente ed eventualmente cantargli anche una canzoncina melodiosa. Se non fa molto caldo, si potrà mettere il bambino a contatto pelle a pelle con la mamma. Se dopo cinque minuti di questi tentativi, non si calma, è ragionevole pensare che abbia ancora fame e per questo gli andrà ridato il latte. se non lo vuole, si deve tenerlo in braccio e coccolarlo.
l   se è passata più di un’ora dal termine della poppata precedente l’ipotesi più probabile è che il bambino abbia fame, per questo gli andrà offerto il latte, al seno o con il biberon. Oggi, infatti, a differenza di quanto si faceva fino a circa quindici anni fa, si dà da mangiare al bambino quando ha fame (ce lo dice proprio con il pianto), senza attendere che sia trascorso un intervallo minimo di tempo, che una volta era fissato in tre ore. Il latte, sia al seno che al biberon, gli andrà offerto a volontà. Se non ha fame andrà coccolato con le stesse procedure che ho indicato al punto precedente.

Le informazioni che sono riportate di seguito sono utili ai genitori, ma sono secondarie rispetto al testo precedente. Forniscono però degli strumenti improtanti per imparare a riconoscere il pianto del proprio bambino e sono un utile strumento per capire i comportamenti del proprio figlio.
Ecco il percorso da seguire:
         Ascoltare il suono: se ne devono valutare il tipo di melodia, che è l’andamento nel tempo della tonalità del pianto.
* È patologica se
-          si mantiene costante nel tempo, oppure
-          aumenta (cioè è in crescendo), oppure
-          prima decresce, ma poi aumenta, cioè è in crescendo
* Non c’è da preoccuparsi, perché sicuramente il bambino non vuol dire che sta male quando la tonalità del pianto
-          decresce, oppure
-          prima aumenta, poi decresce.
Osservare le interruzioni
-          Se si interrompono con una breve pausa per riprendere fiato, cioè il bambino, quando introduce aria, smette di piangere
-          se inizia dopo due secondi, da quando ha sentito male, per esempio quando gli viene fatta la puntura delle vaccinazioni, è determinata da uno stimolo doloroso-
Considerare l’età
-          Alla nascita: il primo pianto viene prodotto dopo una o due inspirazioni, (è l’introduzione di aria: dura circa 1 secondo, nel 18% dei casi c’è una brusca elevazione di tonalità, comunque l’andamento della “prima” melodia è piatto o decrescente.
-          Dalla nascita a dieci giorni: sia la durata di ogni episodio di pianto, sia gli intervalli fra essi tendono a diminuire. La tonalità del pianto assume delle caratteristiche più costanti.
-          Da dieci a quindici giorni: il neonato inizia a mangiare di più rispetto al periodo precedete, perciò a piangere più spesso
-          Da quindici giorni a due mesi: il bambino piange di più  (vedi box) e il principale motivo è la richiesta di latte quando ha fame, soprattutto perché sta crescendo, inizia ad interessarsi maggiormente all’ambiente che lo circonda, con cui cerca di entrare in contatto proprio con il pianto, che è il suo modo di parlare. È questo il periodo delle cosiddette “coliche“, che oggi si è scoperto non sono provocate né dall’aria in pancia, né dall’allergia, né da altre malattie dell’apparato digerente, ma sono episodi di pianto più prolungato di fronte a cui i genitori, per paura che il bambino possa piangere perché ha una malattia, perdono la calma ed entrano in una fase di ansia, così, invece di dare una risposta esatta ed adeguata ai bisogni del proprio figlio, la situazione di estrema agitazione che si determina interrompe la sintonia degli stati d’animo fra il lattante e i genitori. Il bambino avvertirà il disagio e vorrà comunicare con i genitori, dicendogli, per esempio “mi sento solo”, “perché siete così strani oggi” e naturalmente non potendo parlare lo dirà attraverso il pianto. Ma più il bambino piange, più aumenta la tensione nei genitori e così il circolo vizioso continua.
-          Da due a sei mesi: il bambino è cresciuto sia in peso che in lunghezza ed ha raggiunto anche dei buoni livelli di sviluppo psicomotorio, basta pensare che a due mesi sorride, soprattutto alla madre, ascolta le voci e i rumori e segue, ruotando gli occhi e muovendo il capo, gli oggetti: è naturale che anche il proprio “linguaggio”, cioè il piano si evolverà, cioè si accrescerà, in modo analogo, perciò in questo periodo diventerà più differenziato e articolato proprio perché è cresciuto e fa più movimento ed è più partecipe rispetto all’ambiente, perciò, visto che fa molte più azioni rispetto alle settimane precedenti, così anche “parlerà” di più e i genitori devono sforzarsi, ancora di più, rispetto ai periodi precedenti, di “tradurne” il significato, tenendo presente che più il bambino cresce, e soprattutto dopo che ha compiuto i due mesi, la fame inizia ad essere sempre un motivo di pianto meno frequente e questo deve essere uno stimolo ulteriore per i genitori per cercare di capire cosa il bambino voglia dire.
         Dopo i sei mesi: è estremamente raro che un bambino, da questa età in poi pianga per fame, mentre l’ipotesi più probabile è che sia per paura, principalmente di perdere la mamma, cioè degli estranei.
Che cosa fare
La risposta è nel questionario, ma ecco gli aspetti più importanti da ricercare
n         Per i primi dieci giorni: è una fase di attesa, il neonato si deve adattare al mondo esterno, si deve “riprendere” dallo stress del parto, non ha ancora imparato a mangiare bene, né a comunicare con l’ambiente esterno, perciò non ci si deve ancora sforzare di capirne il significato e, poiché non sa mangiare ancora bene, andrà attaccato al seno (o nei casi in cui è impossibile al biberon) ogni volta che piange, ma si deve ricordare che i bambini in questi primi giorni mangiano molto poco, perciò la mamma che pratica l’allattamento naturale non deve pensare che non ha latte a sufficienza: quando il neonato inizierà a succhiare con energia, la mamma avrà sicuramente tanto latte.
n         Da dieci giorni a sei mesi:


Da ricordare
Come regola generale, quando il bambino piange ed è trascorsa più di un’ora dal termine della poppata precedente, va attaccato al seno, se dorme non va svegliato (quando ha fame, lo chiede piangendo, se dorme non vorrà dire nulla alla madre e perciò non avrà fame).

Quando un bambino piange, i genitori devono, prima di tutto, cercare di interpretarne la melodia, cioè l’andamento della tonalità nel tempo e consultare il medico se è sempre costante, oppure se aumenta, se decresce, devono cercare di “tradurlo”, se ci sono le pause respiratorie, è molto probabile che sia dovuto alla fame e la conferma si ha se ha passato da più di un’ora dal termine della poppata precedente, più è piccolo di età, maggiori sono le probabilità che sia dovuto alla fame.
Ecco allora le quattro regole per non sbagliare quando il bambino piange:
1) Farlo parlare, cioè piangere, quando un bambino piange, lui chiede qualcosa, cioè pensa di parlare, in pratica lui chiede qualcosa: se i genitori lo capiscono, lui sarà soddisfatto, anzi acquisterà fiducia in se stesso, perché si convince che riesce a comunicare e a ottenere quello che vuole, cioè, come si dice scientificamente, a condizionare l’ambiente.
2) Capirlo in fretta. I genitori non devono metterci troppo tempo ad interpretare il significato del pianto, perché sarebbe come se a un bambino di cinque-sei anni che chiede alla mamma la merenda, nessuno desse ascolto e lui ha fame, ma non gli arriva nulla da mangiare o ugualmente, se dice che gli “scappa la pupù”, nessuno lo porta in bagno. Per questo quando un bambino piange, i genitori devono sforzarsi di capire quello che vuole e cercare di accontentarlo.
3) Non capirlo in anticipo: non si deve neppure esagerare nel senso opposto, cioè di capire le sue richieste ancora prima che pianga, cosa che dopo qualche settimana, in molti casi i genitori ne sono anche capaci, perché in questo modo il bambino non acquisisce sicurezza di sé, perché non può mai sperimentare se sia capace a comunicare con l’ambiente (primi fra tutti i genitori): in questo caso si abitua a subire l’ambiente circostante, anziché a condizionarlo.
4) Prenderlo in braccio non si sbaglia mai: Se i genitori sono indecisi sul da farsi, non sono certi della propria “traduzione”, oppure non sono riusciti a capire cosa voglia il bambino, per non sbagliare mai, devono prenderlo in braccio, dargli il ciuccio, parlargli dolcemente e cullarlo. Qualcuno si domanderà: “Ma in questo modo non si viziano i bambini?”, No, perché quando un bambino piange chiede qualcosa, perciò non è il problema di viziarli o meno, ma di rispondere a delle loro richieste, cioè a dei loro bisogni. Se un bambino si sente solo e chiede ai genitori di essere preso in braccio (ricordiamo ancora una volta che lo fa piangendo), bisognerà prenderlo in braccio come lui richiede: secondo la tradizione degli insegnamenti dei nonni, si diceva sempre che, quando un bambino piange non va preso in braccio, altrimenti si vizia, ma questo era semplicemente una impostazione educativa di tipo autoritario-militarista ed era sbagliata: se un bambino vuole essere preso (cioè ha bisogno) in braccio è bene che venga accontentato.
Quanto tempo deve piangere il bambino ogni giorno ?


età del bambino

tempo complessivo in cui piange nell’arco delle 24 ore

da 7 a 14 giorni

1 ore e 3/4

da 15 a 30 giorni

2 ore e 1/4

da 31 a 60 giorni

2 ore - 2 ore e 3/4

da 61 a 90 giorni

1 ora 1/4 - 2 ore

PICCOLE LABBRA, sinechie delle
(vedi Sinechie delle piccole labbra)

PIDOCCHI
(vedi Pediculosi)

PIEDE PIATTO.

È la mancanza dell’arco longitudinale, cioè della cavità che si trova nella parte interna dei piedi, quella per cui l’impronta della pianta determina una semiluna.

Alla nascita e nei primi anni di vita però i piedi non hanno ancora assunto questo aspetto che è tipico dell’adulto.
Con il passare degli anni, e la progressione della crescita, come avviene per tutto l’organismo (basta pensare all’altezza) un po’ alla volta i piedi perderanno il piattismo tipico del bambino.
Ecco come si sviluppa il piede di un bambino.

Età in anni

Sviluppo del piede

0 – 3

 

Il piede è “grassottello”.
I piedi non sono allineati, anzi sono“storti” con le punte che sono più vicine e i calcagni più lontani  fra loro rispetto all’adulto.

3 – 7

I calcagni si avvicinano.

7 – 12
(soprattutto da 8 – 10)

Si allontanano anche le punte perciò il piede diviene dritto.
Entrano in tensione il tendine d’Achille , l’anteriore e il posteriore, per cui “tirano” il piede che diventa cavo, cioè non è  più piatto.

Le due cose da fare.

  • La visita:
  • Attendere fino a 7 anni per attuare una prevenzione, infatti prima di tale età si deve lasciare libero il piede di   crescere.
  • A 7 anni però il pediatra dovrà eseguire un controllo per valutare lo sviluppo del piede.
  • A 10 anni:  Si tratta di un fenomeno normale fino a 10 anni. È bene comunque che guardino questo problema senza eccessiva ansia, perché in definitiva anche in quel bambino ogni 50 al quale restano i piedi piatti, non avrà nessuna conseguenza per la vita, infatti i piedi piatti non sono più un motivo di riforma dal servizio militare e ci sono atleti che, pur avendo i piedi piatti, hanno vinto alle Olimpiadi medaglie d’oro.
  • Utili aiuti:
    • A piedi nudi. La natura ha creato i piedi perché camminino scalzi.

Le calzature sono un’esigenza della società. Infatti le popolazioni che camminano scalze hanno meno malattie dei piedi rispetto a chi usa le calzature. Per questo l’ideale per lo sviluppo del piede del bambino sarebbe farlo camminare in un terreno accidentato, meglio se sassoso. Facendo un’opportuna mediazione: il bambino lo si può far camminare scalzo in casa, cosa che non è difficile da ottenere ,anzi evita qualche arrabbiatura ai genitori.

    • Ginnastica. Lo stesso discorso vale per la ginnastica e l’attività fisica in generale: aumentando il tono dei muscoli si facilita e si accelera l’acquisizione della posizione normale e corretta del piede.

Per ottenere che il bambino faccia volentieri lo sport e perciò ottenga i migliori risultati è opportuno che sia lui a scegliere la disciplina che preferisce.
Solo in casi particolari in cui il medico si accorge che il piede stenta ad assumere la normale posizione si potrà ricorrere a tipi di ginnastica particolare: camminare in punta di piedi o sul taglio del piede, o scegliere sport particolari per esempio l’atletica, soprattutto salto in lungo, salto con l’asta e corsa.
Le due cose da non fare.

  • No al plantare, (è  la parte rialzata nell’interno della scarpa) Un’abitudine da abbandonare perché anziché prevenire, favorisce il piede piatto, infatti lo sorregge e di conseguenza fa “riposare” muscoli e tendini e così, tolto l’ “appoggio” il piede non sarà abituato a fare da solo.
  • No alle scarpe ortopediche. Per lo stesso motivo di quello relativo al plantare. Sconsigliate anche le scarpe ortopediche con il plantare elastico.Funziona come una “pallina”::quando viene compressa dal peso del corpo reagisce con una spinta  e così, anziché far riposare il piede, lo stimolava  in continuazione in modo da “allenarlo” e favorirne lo sviluppo. Il principio poteva  è  valido in teoria: questo tipo di scarpe è sgradito, fastidioso e scomodo, perciò il bambino e i genitori lo rifiutano.In realtà  le migliori scarpe per favorire lo sviluppo del piede sono le più semplici,leggere e meno “accessoriate”,proprio per far “lavorare” il piede e così essere costretto a crescere:.

PIEDI SUDATI.
(vedi Iperidrosi)

PIERCING.
Ormai sono alcuni anni che maschi e femmine si mettono orecchini nelle più svariate parti del corpo. Una simile abitudine ormai viene chiamata con l’ennesimo termine straniero: piercing, che in italiano significa “perforazione”. I più fanatici sono gli adolescenti ed è bene che i genitori non li ostacolino perché si sa che dai 10 ai 25 anni, quando è il periodo in cui avvengono i maggiori cambiamenti sia nel fisico che nel comportamento psicologico e sessuale, è importante che il ragazzo o la ragazza si senta più simile possibile ai coetanei, cioè ai soggetti che abbiano le stesse caratteristiche e gli stessi problemi. I genitori perciò non devono stimolare i figli ad applicarsi orecchini vari, però, se lo chiedono, li devono lasciar fare e non devono aver paura che, una volta passata la moda, gli possa restare il forellino deturpante sulla pelle, infatti per mandarlo via basterà fare uscire il sangue all’interno del forellino e la cicatrice scomparirà, non per incanto ma perché si attiveranno così i vari sistemi dell’organismo per la riparazione delle ferite. Innanzi tutto è bene fare eseguire questo banalissimo intervento dal proprio medico. Si deve tenere ben pulita la pelle usando un comune disinfettante (i migliori sono i derivati dell’ammonio quaternario), poi, usando per esempio un ago sterile, si provocherà un piccolo taglio all’interno, in  modo che esca il sangue. A questo punto abbiamo provocato una ferita portando via quel tessuto che si era formato all’interno del canalino dove c’era il metallo e si ricomincia tutto daccapo. Appena uscito il sangue, le piastrine che si trovano all’interno, si aggregheranno fra loro creando il “tappo”, che chiuderà la “perdita” del sangue, cioè la lesione nei capillari e si arresterà l’emorragia. A questo punto inizierà la ricostruzione proprio dei tessuti che erano stati portati via al momento della perforazione. Questa ricostruzione avviene principalmente in due fasi: arriva la fibrina che è una proteina e che riempie la cavità. Subito dopo si passa alla seconda fase, quella dei fibroblasti, che sono cellule che servono proprio per ricostruire i tessuti mancanti, infatti assumono una forma allungata, tipo tentacoli, si moltiplicano rapidamente e hanno la caratteristica di muoversi verso altri fibroblasti, in modo da formare delle file ordinate, appoggiandosi proprio sopra questo strato di fibrina. Una volta fatta questa struttura, vi si appoggeranno sopra o all’interno le altre cellule e così, in pochi giorni, si ricostruiscono i tessuti mancanti. Queste lesioni, provocate dal piercing sono così lievi che non restano cicatrici, purché, sia nella fase in cui si provoca il sanguinamento, sia durante il processo che abbiamo descritto, cioè nei giorni immediatamente successivi a questo piccolo intervento, finché non è “caduta” la crosticina che ricopre la ferita, si disinfetta con cura la pelle.

PILORO.
 E’ un anello, formato da muscoli ,che si trova nella parte inferiore dello stomaco, quella che comunica con l’intestino. In alcuni bambini si ha l’aumento delle dimensioni di questo anello (questo fenomeno si chiama “ipertrofia”) ed è chiaro che si riduce anche il foro centrale dell’anello (è la “stenosi”). Ecco spiegato il significato della malattia stenosi ipertrofica del piloro. (Vedi)

PIODERMITE.

(vedi Infezioni della pelle)

“PIPI’ E PUPU’
Vedi : controllo sfinterico

PISCINA.

Il mare è senza dubbio migliore della piscina, ma, quando il mare non c’è, benedetta piscina!

La piscina è divertente, rinfrescante e aggregante per grandi e piccini, ma è una situazione innaturale, infatti in una raccolta chiusa di acqua entrano tante persone. In genere è buona norma fare una doccia prima di entrare in piscina, ma ci sono alcuni agenti infettivi, per esempio batteri, parassiti o funghi. Spesso molti agenti infettivi non creano nessun disturbo. Una persona ce l’ha all’interno dell’organismo senza saperlo, per questo, quando si immerge in piscina, può liberare nell’acqua questi agenti infettivi, che così potranno circolare liberamente e raggiungere un’“inconsapevole” persona che tranquillamente si gode l’acqua della piscina.
Per ridurre il rischio di infezioni, all’acqua delle piscine viene aggiunto cloro, che però presenta alcuni problemi: nei momenti di massimo sovraffollamento della piscina, non riesce a disinfettare in modo sufficiente le acque e talvolta, se viene a contatto con gli occhi, può irritarli. Ecco, allora, le istruzioni per usare bene la piscina:
1)   Pelle. La prima regola che è anche la più semplice e la più importante, ma, purtroppo, la più disattesa, è di indossare sempre le scarpe quando ci si muove intorno alla piscina, soprattutto nelle zone che restano umide e talvolta anche l’acqua può ristagnare, infatti in questo ambiente umido si possono contrarre con facilità i funghi, responsabili delle micosi della pelle. Una forma particolare è la tigna del piede che prende il nome di piede d’atleta: si riconosce perché sulle zone laterali delle dita, o fra le pieghe che formano l’uno con l’altro o nella pianta del piede, si ha una zona di cute macerata, in cui ci sono parti arrossate con piccole raccolte di liquido. Si possono contrarre anche le verruche, che sono provocate da un virus. Quelle che si trovano nelle pianta del piede sono rotondeggianti, larghe da 2 a 5 mm e hanno un colore dal rosa al marrone chiaro. Quando si nota questo tipo di alterazione ai piedi, si deve consultare il medico.

  • Il consiglio: al di fuori dell’acqua delle piscine usare sempre le ciabatte.

2)   Orecchie. L’acqua della piscina, come abbiamo detto, può contenere agenti infettivi, per cui, entrando nel condotto esterno dell’orecchio, può determinarne l’infezione, cioè l’otite, a cui viene aggiunto il termine esterna, proprio perché giunge dal di fuori, cioè dall’acqua. Questa forma si contrae attraverso l’acqua delle piscine e prende il nome di orecchio del nuotatore: i sintomi sono caratteristici: dolori all’orecchio, il bambino dirà di sentire meno, talvolta anche da un solo lato, infatti l’infezione può essere solo da un parte. Il prurito all’interno dell’orecchio è un altro sintomo caratteristico. Disturbi quasi simili sono prodotti dall’acqua, questa volta quella del mare o anche solo della doccia, che entrando nel condotto uditivo, fa rigonfiare il cerume che si trova all’interno dell’orecchio perché è una sostanza che serve a ripulirlo perché, scorrendo verso l’esterno, trasporta tutto il materiale estraneo che può esservi giunto. Il cerume a contatto dell’acqua rigonfia in alcuni casi fino a riempire il canale interno dell’orecchio, dando dei sintomi più o meno simili a quello dell’otite esterna.

  • Il consiglio: quando il bambino accusa un qualunque disturbo all’orecchio va sempre portato dal medico, senza che i genitori provino ad eseguire dei tentativi fatti in casa per “togliere” il cerume che si trova all’interno. In ogni caso si potrebbe peggiorare la situazione perché si potrebbero creare dei traumi alla parete dell’orecchio, o di aggravare la situazione se, anziché il cerume, il bambino presentasse l’otite esterna, cioè l’“orecchio del nuotatore”

3)   Naso. Attraverso l’acqua della piscina si può prendere anche la sinusite, che è l’infiammazione dei seni paranasali, che sono otto cavità, che si trovano vicino al naso e con cui comunicano. I sintomi tipici della sinusite sono la tosse o il raffreddore che durano più di dieci giorni.

  • Il consiglio: quando il bambino ha, da più di dieci giorni, la tosse o il raffreddore non pensiamo che sia per colpa dell’acqua troppo fredda della piscina, perché molto probabilmente ha la sinusite: portiamolo dal medico. Dovrà prendere gli antibiotici per dieci giorni, ma potrà continuare a fare il bagno in piscina.

4)   Occhi. Va bene che in genere si nuota con gli occhi chiusi, ma l’acqua viene comunque a contatto con la congiuntiva, cioè con la parte più esterna dell’occhio. Si possono creare due disturbi: 1) se l’acqua contiene solo cloro, si può avere una semplice irritazione, cioè gli occhi divengono rossi, al bambino può dare noia la luce e può avere prurito agli occhi. 2) se, invece, contiene agenti infettivi, si può avere una congiuntivite infettiva e in questo caso gli occhi possono essere solo rossi o anche “appiccicati”, cioè presentare una secrezione bianco-giallastra, che si nota soprattutto sul bordo sia della palpebra inferiore che superiore.

  • Il consiglio: in tutti i casi i genitori possono “pulire” l’occhio del bambino sia se è “appiccicato” oppure “rinfrescarlo”, sia se è arrossato o ha prurito, con un batuffolo di cotone fatto bollire in acqua senza aggiunta di nulla per cinque-dieci minuti. Come prevenzione sarebbe bene che il bambino facesse il bagno in piscina usando la maschera subacquea: in questo modo si proteggono gli occhi e il naso (infatti non viene a contatto con l’acqua della piscina) e si diverte. Se il bambino accetta di usare la maschera subacquea, facciamogliela usare solo quando vuole: sarà una precauzione in più. I bambini, invece, che hanno la tendenza ad avere spesso la congiuntivite o gli occhi rossi, è bene che usino sempre la maschera o anche solo gli occhiali subacquei quando fanno il bagno in piscina.

La piscina coperta
-   Tranquilli anche se l’aria è caldo-umida, infatti non crea nessun problema per l’apparato respiratorio, anzi, semmai è come se si facesse un aerosol naturale.
-   Se l’aria contiene qualche odore intenso come quello del cloro o di un altro disinfettante che irrita la gola e  dà tosse, in questo caso basterà assumere una bevanda calda. Comunque se la tosse e l’irritazione alla gola sono particolarmente fastidiose sarà bene uscire.
-   Può darsi che l’aria caldo-umida che si trova all’interno delle piscine coperte determini un altro fenomeno, che peraltro è comune alle giornate particolarmente afose, quando l’umidità è elevata: il caldo fa sudare molto, ma l’atmosfera umida ne impedisce l’evaporazione, perciò, oltre a sopportare peggio il caldo, il sudore evapora con maggiore difficoltà, perciò resta sulla pelle più a lungo, con il rischio che la faccia macerare. Per questo, se dopo aver fatto una prima doccia all’uscita della piscina, si è sudato ancora, sarà bene effettuare un’altra doccia appena possibile, in modo che con la prima si sia sciacquata l’acqua della piscina e con la seconda, quando siamo tornati a casa, si elimini il sudore formatosi nel frattempo, per evitare così che sulla pelle compaiano dei puntini rossi grandi quanto il capo di un fiammifero.
Tutti i vantaggi della piscina
l  È più sicura sotto l’aspetto degli incidenti: a parte qualche urto nei bordi, non c’è il rischio di incontrare meduse, ricci o vetri, non ci sono onde e l’acqua ha sempre una profondità programmata
l  Un maggior controllo: i genitori con un colpo d’occhio riescono sempre a vedere dove sia il bambino, infatti lo spazio è molto limitato
l  L’acqua è più calda, perciò si può fare il bagno anche subito dopo pranzo, perché, quando il pasto non è stato particolarmente abbondante (e per i bambini non lo è praticamente mai, perché mangiano sempre la quantità giusta di cibo di cui hanno bisogno) e l’acqua non è particolarmente, come appunto quella delle piscine, non si corre il rischio di congestioni
l  È aggregante: si sta tutti nelle poche decine di metri dei bordi intorno e dentro la piscina e questo favorisce il gioco fra compagni
l Porta il mare in casa: chi sta in città, in campagna o in montagna può sfruttare tutte le possibilità del nuoto e dei giochi acquatici.

PITIRIASI VERSICOLOR.
Si manifesta dopo i 10 anni perché è favorita dalla maggior secrezione di sebo. Si presenta con piccole macchie che si vedono al tronco e alla nuca, alla radice degli arti e all’addome, che hanno un colore che varia dal rosa al marrone al bianco. Spesso  tali macchie si notano dopo le prime esposizioni al sole,infatti queste lesioni rotondeggianti si vedono di più, perché la zona delle lesioni non si abbronza e così sarà più evidente di prima. La cura. La pitiriasi versicolor è provocata da un fungo:il farmaco che viene comunemente usato è il ketoconazolo da usare per sette giorni se assunto per bocca o 14 se si usa la pomata.

PLACCHE in gola. 
Quando bambini e adolescenti hanno il mal di gola i genitori si chiedono subito se ci sono le “placche nella gola”.
Tantissimi genitori non resistono alla tentazione di guardare la gola al proprio bambino ammalato, ma è proprio da qui che nascono molti errori e allarmismi ingiustificati. I genitori infatti notano, molto spesso, delle “placche bianche”. Si tratta di una secrezione della gola, un elemento intermedio fra il muco nasale e il catarro bronchiale che poi si deposita negli anfratti presenti in condizioni normali nelle tonsille. I genitori però quando vedono queste placche biancastre si ricordano sia delle membrane della difterite, sia pensano al pus e così si allarmano e insistono con il medico perché prescriva l’antibiotico.
Le cose da osservare nella gola.
L’unico elemento che è veramente significativo per capire l’origine del mal di gola è osservare il fondo della gola, perché se si notano che ci sono delle chiazze rosse di 1 o 2 mm di diametro e che risultano più scure del restante tessuto della gola (si chiamano petecchie), significa che c’è lo streptococco betaemolitico di gruppo A e allora è necessario far assumere al bambino degli antibiotici. I genitori possono solo osservare la presenza o meno di queste chiazze. Se non le vedono possono stare tranquilli perché il proprio figlio non necessita di antibiotici. Se le vedono non devono far assumere al bambino farmaci di propria iniziativa ma solo lo devono far visitare dal medico.
In base a ciò che si vede nella gola si potrà attuare un primo orientamento che però andrà  valutato insieme agli altri sintomi presenti che sono illustrati di seguito.
 I sintomi più frequenti sono bruciore alla gola, difficoltà a degluitire, febbre, tosse, raffreddore, mal d’orecchie, inappetenza. La faringite è la malattia infettiva più frequente tra i bambini e gli adolescenti ed è naturale che lo sia infatti la maggioranza degli agenti infettivi (virus e batteri, che provocano infezioni, sia nei bambini che negli adulti sono trasmessi attraverso l’aria, cioè la via respiratoria e il primo punto dell’organismo che incontrano è la gola, dove avviene la “battaglia” tra i nemici (virus e batteri) e le difese dell’organismo (anticorpi e globuli bianchi). L’infezione della gola scientificamente si chiama faringite. È un’infezione estremamente frequente, ma benigna e che guarisce spesso senza medicine, infatti nel 70% dei casi, fra bambini e adolescenti, è provocata da un virus, perciò non è necessario assumere antibiotici, guarisce in genere entro 5 giorni e in modo spontaneo, senza lasciare conseguenze.

Le paure

 Purtroppo c’è invece una grande paura del mal di gola che spesso determina una inutile e dannosa prescrizione di antibiotici da parte dei medici che cedono alle insistenze e alle paure dei genitori. La paura del mal di gola ha una origine storica che però oggi è ingiustificata perché le situazioni sono mutate. Il mal di gola fa paura perché i genitori si ricordano di due malattie: la difterite che provocava delle membrane nella gola che spesso creavano gravi difficoltà a respirare, ma oggi questa malattia non esiste più grazie alla vaccinazione. L’altra paura è la convinzione che le malattie della gola possano danneggiare il rene e il cuore. È questa una possibilità che esiste, ma attualmente rara. In passato, prima dell’introduzione degli antibiotici se il mal di gola era provocato da un batterio lo Streptococco betaemolitico di gruppo A si poteva determinare un danno al rene (glomerulonefrite acuta post-streptococcica) e al cuore (valvulopatia reumatica). Oggi grazie ai potenti antibiotici di cui disponiamo tali complicanze sono divenute estremamente rare. Inoltre oggi sono stati messi a punto dei test di laboratorio rapidi che in 5 minuti dicono se nella gola ci sia lo streptococco o meno. È sufficiente un bastoncino di una ventina di centimetri che alla sommità abbia un batuffolo di cotone per poter effettuare questo esame che viene eseguito direttamente nell’ambulatorio da molti medici pediatri di famiglia.
Gli errori.
Un altro elemento che indica se il mal di gola può essere pericoloso è osservare la presenza di altri sintomi. Se il bambino ha anche tosse, raffreddore, voce rauca o congiuntivite sarà un virus la causa del mal di gola, perciò si può stare tranquilli, non fare eseguire alcuna cura. L’unico farmaco da usare sarà il paracetamolo da somministrare per abbassare la febbre o alleviare il dolore alla gola.

POLITELIA.
Si tratta di capezzoli, areole, più raramente mammelle, soprannumerarie (in più). Si trovano sotto la zona mammaria o sopra, verso l’ascella.
Questa malformazione si chiama politelia o nei vecchi testi ipertelia (telos in greco vuol dire mammella) e colpisce quindici bambini ogni mille nati anche se in molti casi, per scoprirla ci vuole un’attenta osservazione. In genere non dà quasi mai problemi, solo in casi rari si possono presentare le malattie tipiche della mammella o divenire dolente durante le mestruazioni.
I bambini italiani che presentano politelia non hanno nessuna probabilità in più di avere malformazioni delle vie urinarie, solo per i neonati di razza ebraica esiste una maggiore possibilità di tale associazione e pertanto andranno sottoposti ad accertamenti per scoprire eventuali malformazioni renali.

POLLINI, CALENDARIO.

(vedi anche Allergia eTerapia desensibilizzante)

I pollini responsabili soprattutto della rinite-congiuntivite allergica sono prodotti principalmente dalle graminacee: ecco in quali mesi sono presenti, anche se di anno in anno la fioritura varia a seconda delle condizioni metereologiche.
I fiori da taglio anche se molto colorati e le piante d’appartamento non determinano mai reazioni allergiche.


Tipo

Ecco quando fiorisce

Graminacee

Gramigna delle vie

febbraio-novembre

Gramigna dei prati, fienarola

aprile-agosto

Orzo

aprile-agosto

Erba codolina

maggio-luglio

Avena

maggio-agosto

Erba mazzolina

maggio-settembre

Grano

maggio-giugno

Loglio

maggio-giugno

Segale

giugno-luglio

Erba bambagiona

giugno-agosto

Erba canina

giugno-ottobre

Granoturco, mais

luglio-settembre

Parietaria

Erba dei muri

Soprattutto maggio-giugno, ma anche negli altri mesi, quasi durante l’intero anno

POLMONITE.
È l'infezione dei polmoni che in genere insorge come complicanza di una infezione delle alte vie respiratorie. Viene indicata anche come broncopolmonite.
I sintomi
Soprattutto nel bambino piccolo sono comuni alle altre infezioni respiratorie. La tosse non è indicativa perché i recettori sono presenti nelle prime vie respiratorie ma non all'interno dei polmoni. Nemmeno il livello della febbre può essere utile. Un segnale indicativo può essere la presenza di un numero maggiore di 40 atti respiratori al minuto se il bambino ha più di un anno o 50 se ne ha meno. Per contare gli atti respiratori è sufficiente appoggiare una mano sull'addome e misurare per un minuto i relativi innalzamenti.
Perché stare tranquilli
La prima cosa da fare con i genitori quando il medico fa diagnosi di infezione delle basse vie respiratorie (la più nota è la polmonite) è di tranquillizzare i genitori, perché tutto ciò che è legato ai polmoni evoca le malattie fantasma (vedi) perché ricorda la tubercolosi, malattia fino a metà del secolo scorso responsabile di alta mortalità. Il medico dovrà fornire ai genitori anche alcune informazioni. La prima è di spiegare che quando un bambino presenta la polmonite non necessariamente deve essere ricoverato in ospedale, inoltre che la terapia con antibiotici oggi viene effettuata con i farmaci somministrati per bocca (gocce, “sciroppi”, o compresse), perciò che le “punture” sono ormai abbandonate. Solo in casi gravi è necessario somministrare gli antibiotici per via endovenosa, cioè per fleboclisi. Altro elemento da comunicare ai genitori è che la polmonite non determina tosse. I recettori della tosse, quelli che stimolati evocano tale riflesso, si trovano solo nelle alte vie respiratorie e non all’interno dei polmoni.

Da ricordare: Vero e Falso

Vero  la difficoltà a respirare,l’affanno o un numero di respirio superiori a 4° al minuto(in condizioni di riposo) può indicare la presenza di  polmonite.
Falso  gli “interruttori” della tosse sono solo nelle parti più esterne dell’apparato respiratorio perciò non dei polmoni.

POSTURA.
Per i pazienti è più comprensibile se si dice: posizione assunta da una persona.

POSTUROLOGIA.
Esiste uno stretto rapporto fra il distretto composto da cranio e mandibola con il restante scheletro, fino ai piedi. Questo sistema che si chiama “catena posturale” è interconnesso in tutte le sue  parti ed elabora le informazioni che provengono dagli occhi e dai piedi. L’occlusione delle due arcate dentarie deve essere perfetta perché alla minima irregolarità, anche se microscopica, come lo spessore di un globulo rosso, si ha un affaticamento dell’organismo perché dalle arcate dentarie partono impulsi al cervello per far riposizionare bene le due arcate dentarie. Figuriamoci cosa succede quando si ha una malocclusione. Infatti recenti  studi hanno dimostrato che quando non sono simmetriche le arcate dentarie il bambino o l’adolescente non tiene nella giusta posizione la parte destra e sinistra del corpo, ma iniziando dalla testa  avrà tutto “deviato”  fino ad avere i piedi piatti.

PRESSIONE ARTERIOSA.

La pressione arteriosa va misurata una volta all’anno iniziando dall’età di 3 anni.

Vanno usati gli appositi bracciali pediatrici.
Attenzione per i valori relativi alla pressione massima, nel caso che risultassero superiori ai valori normali, vanno controllati più volte, soprattutto dopo aver tenuto tranquillo il bambino per alcuni minuti. Per esempio lo si può far distendere nel lettino o tenuto tranquillo in braccio alla mamma per i più piccoli. I valori della pressione massima infatti sono quelli che vengono influenzati dall’emozione o dall’apprensione.
I valori ottenuti vanno confrontati con quelli della tabella seguente composta da 3 colonne: la prima contiene i valori normali, la seconda quelli al limite, la terza quelli patologici, oltre i quali è necessario attuare una cura.

 

PRESSIONE MASSIMA-SISTOLICA espressa in mm di mercurio

 

MASCHI

 

Età

FEMMINE

Valori normali
è il 50° percentile

Valori al limite è il 90° percentile

 

Valori patologici è il 95° percentile

Valori normali è il 50° percentile

Valori al limite è il 90° percentile

 

Valori patologici è il 95° percentile

98

110

120

5

97

109

114

102

116

124

6

101

115

120

104

118

125

7

104

119

124

106

121

126

8

106

120

126

108

123

127

9

108

123

128

109

124

128

10

109

124

130

110

125

129

11

110

125

131

111

126

129

12

111

126

132

111

127

130

13

112

127

133

112

128

131

14

113

128

134

 

 

 

 

 

 

 

 

PRESSIONE MINIMA-DIASTOLICA espressa in mm di mercurio

 

MASCHI

 

Età

 

FEMMINE

Valori normali
è il 50° percentile

 

Valori al limite è il 90° percentile

 

Valori patologici è il 95° percentile

Valori normali
è il 50° percentile

Valori al limite è il 90° percentile

Valori patologici è il 95° percentile

62

75

80

5

62

76

80

64

77

81

6

64

77

81

65

78

81

7

65

78

81

66

79

82

8

66

79

81

67

79

82

9

67

79

81

68

80

82

10

68

80

81

68

80

82

11

68

80

82

68

80

82

12

68

80

82

69

81

82

13

69

80

82

69

81

82

14

69

81

82

 

 

 

 

 

 

 

Che cosa fare.

  • chi ha i valori normali è sufficiente che controlli la pressione una volta all’anno dal proprio medico
  • , chi li ha al limite la  dovrà controllare spesso e sarà il medico a dire con quale frequenza ,
  •   chi supera i valori  patologici dovrà farsi seguire da un centro specializzato per l’ipertensione per tenere sotto controllo i valori, anche ricorrendo ai farmaci.

PREVALENZA.

Per i pazienti è più comprensibile se si dice: percentuale o numero complessivo delle persone affette da  una malattia.

PRIMA COLAZIONE.

È un pasto “maltrattato”, in cui si commettono più errori e che, nell’arco delle sei ore successive, determina il maggior numero di danni. Non c’è da stupirsi, infatti la prima colazione deve fornire, dopo il lungo intervallo della notte, le energie sufficienti per far funzionare l’organismo, in particolare sono necessari gli zuccheri, che sono il “carburante” per far “lavorare” il cervello. Per questo i bambini che consumano una prima colazione insufficiente si concentreranno poco, staranno meno attenti e perciò avranno un rendimento scolastico inferiore alle proprie possibilità. Ecco, allora, le regole per iniziare bene la giornata, si parte avvantaggiati perché, dopo molte ore che il bambino non mangia, sicuramente ha fame, i cibi da scegliere piacciono molto ai bambini e allora basta creare l’atmosfera giusta per una prima colazione di successo.

l   Ci si deve alzare un po’ prima per avere il tempo sufficiente per mangiare in tranquillità; spesso i bambini non fanno la prima colazione perché tutta la famiglia è in ritardo e perciò intorno a lui c’è un’attività frenetica che mal si concilia con il pasto
l   I bambini non dovrebbero mai fare la prima colazione da soli, almeno uno dei due genitori dovrebbe mangiare insieme ai figli
l   La tavola deve essere preparata e apparecchiata con cura, come per gli altri pasti, eventualmente si può guadagnare tempo, preparandola la sera prima
l   Durante la colazione televisore, radio e telefono devono essere spenti e i grandi si devono interessare ai piccoli, possibilmente parlando di argomenti che interessano tutti, in pratica si deve stare a tavola come nelle immagini della pubblicità
l   I bambini voraci o soprappeso non possono essere lasciati liberi di mangiare quanto vogliono, perché altrimenti la prima colazione si trasformerebbe nella prima “abbuffata” della giornata, ma anche loro devono introdurre la quantità di cibo per fornire il “carburante” per l’organismo. Ecco, allora, la quantità indicativa su cui basarsi:
l   Un bambino dai 3 i 10 anni dovrebbe prendere 200 grammi di latte parzialmente scremato e, se gli piace, anche con orzo, con 5 grammi di zucchero (corrisponde a un cucchiaio da tè o mezzo cucchiaio da minestra), 30 grammi di pane o 3 fette biscottate con 10 grammi di marmellata.
l   Le merendine confezionate vanno usate solo in casi eccezionali e comunque non più di una volta alla settimana.

Il menù per la prima colazione in casa

L’ideale è latte con biscotti o pane e marmellata. Questi alimenti sono anche i più graditi dai bambini, perciò non ci sono problemi per farli mangiare. Ci sono però infinite altre possibilità. Il latte può essere intero o parzialmente scremato, da solo oppure con caffè d’orzo o cacao amaro, si può scegliere lo yogurt magro o alla frutta, il tè con limone o latte, ma molti bambini lo preferiscono alla pesca. In alternativa si può scegliere un succo di frutta o una spremuta d’arancio. La frutta fresca va sempre bene, anche se in genere i bambini preferiscono banana, uva o kiwi. Il pane può essere normale o integrale, ma può essere sostituito con fette biscottate, anche queste normali o integrali, biscotti, secchio o integrali, crackers, brioches o dolci fatti in casa. Molto graditi sono i cereali pronti, come i corn flakes. Chi vuole può sostituire la marmellata con miele. Alcuni bambini, anziché un pasto dolce, ne preferiscono uno salato e allora possono prendere per colazione pane, eventualmente tostato, con olio extravergine di oliva, pomodoro, eventualmente mozzarella o ricotta, oppure pizza.

Istruzioni per l’uso
-     Fra i cibi indicati i genitori dovranno scegliere quelli che piacciono maggiormente ai figli. I bambini dovranno essere lasciati liberi di mangiare quanto vogliono, infatti se hanno a disposizione un tempo sufficiente, un ambiente tranquillo e i cibi graditi, sicuramente mangiano quanto hanno fame.
-     Se il bambino non vuole il latte, non si deve insistere perché potrebbe avere un’allergia o un’intolleranza verso qualche componente di questo alimento, che, una volta assunto, potrebbe determinargli dei disturbi digestivi, per esempio il “mal di pancia”, che il bambino ha imparato ad evitare non mangiando il latte e ripiegando su tè o succo di frutta.

PRURITO.
Il prurito non è tutto uguale. La zona dove si presenta e gli eventuali altri segni che lo accompagnano varia secondo  la malattia che lo ha  provocato e perciò anche l’eventuale cura . Vediamo allora i vari “tipi di prurito”.

Ecco le zone del prurito

Osservate dov’è.
Se è in :
Tutto il corpo: può essere il segno di una orticaria .In questo caso saranno presenti dei rigonfiamenti rotondeggianti, bianchi o rosa, circondati da un alone rosso. Se invece ci sono solo puntini rossi di meno di un millimetro di diametro si chiama  miliaria rubra ed è dovuta al sudore: Quasi sempre  tutto si risolve con  docce  frequenti. Il prurito è provocato dall’eczema se la pelle è  arrossata, desquamata, secca e ispessita.In questo caso servono pomate al cortisone, ma la cura la deve prescrivere il medico.
Se invece ci sono  vescicole che sono piccole raccolte contenenti liquido di diametro inferiore a 3 mm, potrebbe trattarsi di varicella. Infine la scabbia che è  provocata da un parassita della pelle, l’acaro.La tipica lesione  è costituita da un rigo rosso, lungo circa 5-10 cm, con una vescicola ad una delle estremità.Ancora prima di vedere questa manifestazione sulla pelle  si sospetta la presenza della scabbia  perché il soggetto si gratta in continuazione, soprattutto la notte.  Per curare la scabbia si deve applicare sulle zone colpite e sotto le unghie una lozione a base di permetrina al 5% da lasciare sulla pelle per un tempo che varia da 8 a 14 ore . Il prurito però può persistere anche per settimane o mesi dopo la guarigione. Se il prurito è intenso e non c’è nessun segno potrebbe essere allergia e allora si deve consultare il medico per scoprirne la causa e prescrivere la cura.
Mani : è  ancora l a scabbia che può dare  prurito anche   solo alle mani.
Ano: se invece è avvertito all’ano, ed è presente soprattutto la notte, si deve pensare agli ossiuri che sono parassiti (vermi) intestinali e la conferma arriverà quando si vedranno nelle feci piccoli filamenti bianchi, lunghi pochi centimetri. Basterà  una sola dose di un farmaco contro tali parassiti da ripetere,sempre una sola volta, dopo due settimane. (vedi Parassiti intestinali – ossiuri)
Testa: se il prurito è riferito alla testa potrebbe essere provocato da una dermatite e si deva andare da un dermatologo. Prima però di devono guardare i capelli. Se si vedono delle piccole formazioni rotonde e grigiastre attaccate saldamente al capello a meno di 6,5 millimetri dalla base e che non volano se si soffia ,il prurito è provocato dai pidocchi (è la pediculosi) che andranno eliminati con gli appositi trattamenti. S dovrà usare  una lozione a base di malathion o permetrina all’1% che andrà tenuta applicata sopra la testa per 10 minuti e poi risciacquata accuratamente. Il trattamento andrà ripetuto dopo 7 giorni. Non si devono tagliare i capelli. (vedi anche Pediculosi)

La cura che va sempre bene

La cosa più impostante per ridurre il fastidio del prurito è lavarsi frequentemente soprattutto quando le temperature elevate fanno sudare abbondantemente. Il sudore infatti è un importante elemento che scatena il prurito  e rimuoverlo ha un effetto lenitivo. Anche tanti fastidi che si verificavano in corso di varicella (è più frequente proprio a maggio) erano dovuti al fatto che i malati venivano coperti troppo e non fatti lavare e questi rendeva insopportabile il prurito.
Quando il prurito è più intenso  sarà opportuno indossare gli indumenti intimi all’arrovescio in modo che le cuciture si trovino all’esterno e non provochino sfregamenti sulla pelle. Questo è importante soprattutto per i pigiami. In ogni caso quando c’è prurito è sempre bene indossare indumenti in cotone bianco.
È importante anche cercare di distrarsi (è questo uno dei motivi per cui il prurito si accentua la notte) e cercare di stare tranquilli e rilassati. Per questo si può ritenere che la musica sia un importante “sistema antiprurito”!
Dopo aver attuato tutte queste misure preventive si potranno usare anche pomate antistaminiche, che avranno una maggiore efficacia se applicate fredde. Per questo è consigliabile tenerle in frigorifero. Nei casi più resistenti si può usare farmaci (sciroppi o pasticche) antistaminici. La quasi totalità di questi farmaci si acquistano in farmacia senza dover presentare la ricetta del medico.
Il decalogo: ecco i 10 consigli:
1)   Stare in ambiente fresco
2)   Cercare di distrarsi: per esempio uscire di casa, ascoltare musica, vedere la televisione.
3)   La camera da letto deve essere fresca.
4)   Il pigiama di cotone liscio con cuciture rivolte all’esterno.
5)   Andare a letto solo quando si ha molto sonno, cioè quando ci si addormenta subito.
6)   Stare calmi e se si tratta di un bambino, anche se si gratta, i genitori non devono urlargli o rimproverarlo, infatti più uno si innervosisce, più aumenta il prurito.
7)   Si devono evitare anche tutte le operazioni che potrebbero far aumentare la temperatura del corpo o produrre una stimolazione meccanica (queste due situazioni fanno accentuare il prurito), perciò spogliarsi, lavarsi, massaggiarsi, frizionarsi con alcol, fare impacchi freddi
8)   Si possono usare le pomate antistaminiche (che si acquistano in farmacia senza ricetta)
9)   Prima di andare a dormire si può somministrare un farmaco antistaminico (alcuni prodotti si acquistano in farmacia senza dover presentare la ricetta del medico.
10) Gli emollienti si possono usare quando la pelle è secca e disidratata, oppure sembra che “tiri”

PSEUDOROSOLIA.
(vedi Sesta malattia)

PSICOLOGO.
È uno specialista formato per aiutare la gente normale a prendere coscienza, riflettere e possibilmente risolvere i loro problemi e le loro difficoltà. Non ci si deve rivolgere perciò a psicologi o neuropsichiatri infantili sperando in “miracoli”, cioè risolvendo situazioni gravi o apparentemente irrisolvibili. In quest’ottica la psicoterapia è comunque da tentare sempre e nella quasi totalità dei casi è previsto anche il coinvolgimento della famiglia. È utile quando si sostituisce o rimanda il trattamento con farmaci di disturbi psicologici del comportamento o dell’apprendimento. La psicoterapia è richiesta fin troppo dagli insegnanti, ma accettata poco dai genitori, soprattutto quando è previsto il loro coinvolgimento diretto.

PSORIASI.

In circa 1/3 dei pazienti la psoriasi avviene nei primi 15 anni di vita.

La psoriasi si presenta nella forma più tipica come tante piccole lamelle bianco-argentee soprattutto al cuoio capelluto, gomiti, ginocchi, nella regione del pube, dietro all’orecchio o alle ascelle,oppure placche rosse all’inguine o qualunque alterazione delle unghie.
Nel bambino hanno una dimensione più piccola rispetto all’adulto, perciò spesso vengono confuse con la dermatite atopica, cioè l’eczema,la dermatite seborroica, la tigna, la pityriasis rosea (è una  micosi).
La psoriasi è più frequente nelle femmine e nei figli di genitori che a loro volta la presentano.
Fare diagnosi di psoriasi spesso è complicato anche per lo stesso medico, in alcuni casi si deve ricorrere a  un esame della pelle al microscopio (esame istologico). Nella maggior parte dei pazienti la psoriasi  ha un decorso benigno e se è iniziata nei primi 12 anni di vita ha un decorso migliore che se è comparso nell’adolescenza. Ha un andamento imprevedibile: ci sono periodi in cui si accentua per esempio è scatenata dallo stress, i traumi o le infezioni. Il  sole dell’estate, come per altre malattie della pelle, ne determina un miglioramento.
La cura
Si fa con farmaci applicati sulla pelle, o assunti per bocca, ma  è poco efficace.
La cura è complessa e lunga e spesso, dopo i insuccessi, il paziente, scoraggiato, tende a sospenderla. Si usano unguenti a base di acido salicilico, pomate al cortisone, al catrame o con antralina, quest’ultima può essere applicata anche solo per 30-60 minuti al giorno, ma per lunghi periodi.

PUBARCA
(è la comparsa della peluria al pube). All’inizio i peli sono solo su labbra  e pube. Prima sono chiari e lunghi, poi aumentano di numero e divengono scuri e arricciati, infine “nascono” anche sulle cosce.

Pubarca (sviluppo della peluria pubica) nella femmina e nel maschio.

Stadio

Età di esordio in anni

Femmina

Maschio

 

Media

Può variare da  -  a

Media

Può variare da   -   a

Crescono pochi peli lunghi chiari alla base del pene o lungo le labbra o sul pube

 

11 ½

 

        9 - 14

 

13

 

         11 - 15 ½

Peli di tipo adulto, più abbondanti. Ancora limitati al pube o al monte di Venere. Non estesi alle cosce

 

13

 

       11 - 15

 

14 ½

 

         12 - 16 ½

Di tipo adulto in qualità, quantità e distribuzione, con estensione alla faccia mediale delle cosce. L’estensione alla linea alba avviene successivamente (Stadio V)

 

14

 

       12 - 16

 

15

 

13 - 17

 PUBERTA’
E’ la fase della crescita in cui si attua lo sviluppo sessuale.  L’inizio è compreso nelle femmine fra gli 8 e i 13 anni con la comparsa di un rigonfiamento sotto l’areola che scientificamente si chiama “bottone mammario” e nel maschio fra i 10 e i 15 anni con il primo ingrandimento di scroto e testicoli e cambiamento della pelle dello scroto che diventa rossa. Se simili cambiamenti si hanno prima o dopo l’età indicata si devono eseguire accertamenti specialistici.
Come comincia la pubertà? La pubertà è quella fase di transizione che permette di passare dall’età infantile all’età adulta in cui avvengono rapidi mutamenti sia fisici, infatti cambia l’aspetto del corpo e si cresce in statura anche di 10-20 cm in un anno, sia psicoaffettivi perché iniziano a comparire le prime pulsioni sessuali. L’organismo era però già pronto in precedenza cioè disponeva fin dalla nascita delle strutture anatomiche per la produzione degli ormoni, ma il cervello veniva tenuto bloccato da alcune proteine. Al momento della pubertà viene tolto questo “blocco” e il cervello inizia a produrre i vari ormoni che stimolano, i testicoli nel maschio e le ovaie nella femmina, a produrre gli ormoni e a far partire lo sviluppo sessuale. Nelle femmine è necessario aver raggiunto un certo peso corporeo, perché serve un ormone proteico, la leptina, prodotta proprio dalle cellule del “grasso”,gli adipociti. Per questo le  ragazze troppo magre o le atlete hanno uno sviluppo sessuale ritardato. La leptina è indispensabile per far partire lo sviluppo sessuale ma da sola non lo può provocare. Fra le modificazioni che determina la pubertà si ha anche lo sviluppo dei muscoli,l’aumento del contenuto di minerali presenti nell’osso mentre il tessuto adiposo, cioè il grasso, si distribuisce in modo diverso tra maschi e femmine, per esempio soprattutto nella zona dell’addome nel maschio e nei glutei, nella femmina. Per questi motivi alla stessa età e con la stessa altezza gli adolescenti che hanno già iniziato lo sviluppo sessuale hanno un peso maggiore rispetto ai coetanei ancora “bambini”.
Quando comincia la pubertà in Italia? Sono stati studiati 3.508 bambini (1.867 maschi e 1.641 femmine) nati tra il 1983 e il 1996, di età compresa tra i 6 e i 15 anni, che frequentavano le scuole pubbliche di Novara e di Biella. I bambini sono stati selezionati in modo da costituire un gruppo in cui fossero presenti, per ogni fascia di età, tutte le componenti socioeconomiche presenti nella zona e fossero rappresentati i soggetti provenienti dalle varie aree geografiche presenti nel territorio esaminato, in modo da costituire un campione eterogeneo e perciò rappresentativo della società italiana. Si è potuto così stabilire che i bambini italiani iniziano la pubertà un anno prima rispetto a 25 anni fa. Questo fenomeno si chiama “andamento (trend) secolare” e dipende dalle migliorate condizioni sia di alimentazione sia di cura delle malattie. È un fenomeno presente in tutte le società industrializzate, che si associa, nella donna a un ritardo della comparsa della menopausa, cioè si ha un aumento dell’età fertile. Questa anticipazione della pubertà non proseguirà certo all’infinito, ma si fermerà quando l’organismo sarà arrivato nelle condizioni ottimali.
Ecco i dati italiani :

  • Nel maschio. La pubertà inizia nella maggioranza dei bambini a 11 anni(ma è comunque  normale che si verifichi  fra i 9 anni e i 13 anni e 4 mesi )quando si verifica  il  primo cambiamento dei genitali, rappresentato dal primo ingrandimento dello scroto e dei testicoli che raggiungono la dimensione di 4 ml. Nello stesso tempo la pelle dello scroto diventa più rossa. In questa fase invece non  si modificano ancora sostanzialmente le dimensioni del pene. Un paio di mesi dopo questo primo cambiamento  (cioè in media a 11 anni e 2-3 mesi) compare alla base del pene qualche raro pelo, che è lungo, ondulato, chiaro.
  • Nella femmina. Nella maggioranza  dei casi si verifica a 10 anni e mezzo (ma è comunque  normale che avvenga fra gli 8 e i 12 anni e mezzo):valuta meglio che nel maschio perché compare quello che viene definito “bottone mammario” che è una sporgenza della mammella simile a un piccolo rilievo, per cui l’areola, diviene più scura, si ingrandisce e diventa leggermente sporgente. Questa fase avviene in Italia nella maggioranza delle ragazze a 10 anni e mezzo. Qualche settimana dopo iniziano a comparire al pube qualche raro pelo, che è lungo, ondulato, chiaro.

PUFF.  
Non c’è motivo di usare il termine inglese perché in italiano si traduce: spruzzata (si riferisce ai farmaci assunti per via nasale od orale, mediante nebulizzazione).

PUNTI DI SUTURA.
(vedi ferite)

PUNTURE DI INSETTO.
Si deve tener presente che:
-    se nella pelle è restato conficcato il pungiglione dell’insetto, lo si dovrà estrarre con delle comuni pinzette (vanno bene anche quelle che si usano per le sopracciglia)
-    sulla zona dove è avvenuta la puntura, si deve prima cospargere del disinfettante e poi, per mezz’ora, ghiaccio. Si deve andare al Pronto Soccorso dell’Ospedale se sulla pelle compaiono delle chiazze rosse distanti più di 5 cm dalla zona dove è avvenuta la puntura, oppure il bambino è pallido e/o suda freddo.

 

 
 
Download
 
  • Prof.Italo Farnetani

    Prof.Italo Farnetani
  • Prof.Italo Farnetani

    Prof.Italo Farnetani
  • Prof.Italo Farnetani - Kenya 2016

    Prof.Italo Farnetani
  • Prof.Italo Farnetani - Papa Francesco

    Prof.Italo Farnetani
  • Prof.Italo Farnetani - Papa Francesco

    Prof.Italo Farnetani
  • Prof.Italo Farnetani - Papa Francesco

    Prof.Italo Farnetani
  • Prof.Italo Farnetani - Papa Benedetto XVI

    Prof.Italo Farnetani
  • Prof.Italo Farnetani - Papa Benedetto XVI

    Prof.Italo Farnetani
  • Prof.Italo Farnetani - Gatunga 2017 Missione delle Suore del Cottolengo

    Prof.Italo Farnetani
  • Prof.Italo Farnetani - Celebrazioni per i 150 anni dell' Unità d'Italia 2010.

    Prof.Italo Farnetani
  • Prof.Italo Farnetani, all' Accademia Nazionale di Modena.

    Prof.Italo Farnetani

 
I miei libri